venerdì 1 marzo 2013

Venerdì 1 Marzo 2013. L'inutilità dei sondaggi italiani


   1 Marzo 2013. L'inutilità dei sondaggi italiani                                   



In America sono il Vangelo. Stabiliscono le scelte dei candidati alla Presidenza, al Congresso, a Governatore dei Stati federali. Infallibili, misurano come un termometro l'andamento dell'opinione pubblica, i riscontri della comunicazione politica, l'appeal di una proposta, di un'uscita pubblica, perfino il gradimento di un abito piuttosto che di un altro. 

In Italia, invece, non azzeccano mai un risultato. Quest'anno poi, assolutamente sballati fino all'uscita dai seggi, con "instant poll" (non li chiamano più exit poll, forse per decenza) che davano una vittoria a dir poco schiacciante a Bersani, sia alla Camera che al Senato. Gli exit poll avevano addirittura portato la Borsa al +4%. Completamente confutati poi dai risultati delle urne. 

Probabilmente, tra i tanti errori della campagna elettorale del centrosinistra, c'è anche l'aver fatto affidamento a sondaggi che davano ampia distanza dagli avversari, realizzando una pessima strategia basata sul "meno parliamo, meno danni facciamo" o peggio ancora del "tanto stiamo ancora vincendo". 
Gli ultimi sondaggi ufficiali, quindici giorni prima del voto, sospesi a norma di par condicio, portavano addirittura Monti alla stessa stregua di Grillo e Ingroia al 7%. 
I casi sono due: o in quindici giorni l'M5S ha fagocitato tutto, compreso Monti e Ingroia, e contemporaneamente Berlusconi ha rimontato grazie al rimborso dell'Imu e ai 4 milioni di posti di lavoro promessi (è una lettura plausibile), oppure i sondaggi facevano schifo (altrettanto plausibile). O comunque entrambi i casi concomitanti.
D'altronde, a guardare l'enorme margine di errore degli ultimissimi, gli instant poll, che sono non sondaggi di intenzioni di voto ma proiezioni post-voto, all'uscita dal seggio, propenderei con la conclusione che, oltre a tanto altro, anche i sondaggisti in Italia andrebbero cambiati.
Salvatore Caracuta





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